La sigla di Real Politic sfuma in un turbine di grafiche tridimensionali, un globo inciso da mirini rossi e confini tratteggiati, come una mappa di bersagli in cerca di un pretesto.
È un’immagine costruita per evocare ansia, per ricordare al pubblico che l’aria globale è sottile e che basta poco per restare senza fiato.
In studio l’aria condizionata è su valori artici, ma il gelo che si avverte non viene dal termostato: è un freddo politico, premonitore, una lama che corre tra il pubblico e il banco degli ospiti.
Il conduttore, volto noto per l’inchiesta aggressiva, siede al centro con le gambe accavallate, una cartellina gonfia sul ginocchio, l’espressione di chi ha deciso che stasera non si ride.

Alle sue spalle, sul ledwall, una parola sola, in font militare rovinato, come stencil su una cassa di munizioni: OBBLIGATORI.
“Buonasera,” attacca guardando in camera con gravità chirurgica.
“La domanda non è politica, riguarda la carne e il sangue delle vostre famiglie.
Siete pronti a vedere i vostri figli partire?
Indossare una divisa?
Imparare a uccidere?”
Il silenzio rimbomba, il preambolo perfetto per inoculare il panico.
“Nei palazzi del potere,” prosegue alzandosi, avvicinandosi allo schermo, “si discute il ritorno della leva obbligatoria.
Il governo Meloni, tra NATO e la nuova dottrina di Donald Trump, sta valutando la costrizione.”
Il quadro è tracciato, la miccia accesa.
Alla sinistra del conduttore, rigido come un inquisitore, siede l’onorevole Valerio Sarti, volto dell’ala pacifista più dura, giacca di velluto, montatura spessa, un tablet che lampeggia agenzie come un radar in tempesta.
Alla destra, Alessandra Ghisleri, la sondaggista pronta a trasformare la paura in grafica.
“Alessandra, dacci i numeri,” incalza il conduttore.
La torta appare sul ledwall, una fetta rossa enorme, quasi vorace.
“Campione: mille famiglie italiane,” spiega con professionalità tesa.
“Temete la reintroduzione della leva entro il 2026?
Il 72% risponde sì o ‘molto probabilmente’.
Tra le madri, il 94% è contrario.
C’è un clima di terrore latente.”
Il conduttore si volta verso Sarti: “Paura giustificata o allarmismo?”
Sarti non aspettava altro.
Impugna il microfono come un pastorale, voce grave, indignazione scolpita.
“Magari stessimo esagerando.
La realtà è che questo governo ha aumentato del 20% le spese militari in due anni, ha firmato accordi capestro con l’industria bellica, sogna la caserma come modello educativo.”
Gesticola, l’indice puntato verso il pubblico come una requisitoria.
“Con Trump alla Casa Bianca che chiede all’Europa di armarsi fino ai denti, il piano è chiaro: militarizzare la gioventù.
I nostri diciottenni strappati all’università per sei, nove, dodici mesi.
Carne da cannone per guerre future.
Si parte dalla ‘riserva volontaria’, si finisce con la cartolina-precetto.”
Il pubblico mormora, una signora porta la mano alla bocca.
La narrazione perfora le difese emotive più ancestrali: la protezione dei figli.
“Il ministro Crosetto,” tenta il conduttore, “ha parlato in passato di riserva volontaria, non è la stessa cosa.”
“Parole,” tuona Sarti.
“Cavallo di Troia.
Guardate la Germania.
Qui non si crede alla pace, ma alla deterrenza.
E la deterrenza ha bisogno di soldati: i nostri figli.”
La telecamera stringe sui volti irrigiditi.
La Ghisleri osserva le curve del sentiment in tempo reale: gli hashtag contraggono i muscoli, “noallaLeva” si arrampica tra le tendenze.
Sarti affonda: “Voci di corridoio dicono che il decreto è pronto nel cassetto del ministro della Difesa.
Uscirà dopo le vacanze di Natale.
Regalo 2026: l’Italia-caserma.”
Il conduttore annuisce con gravità da cerimoniale.
“Accuse pesantissime.
Se fosse vero, sarebbe la fine del patto sociale.
Pubblicità, poi torniamo.”
La musica sale, le luci calano.
Ma dietro le quinte qualcosa deraglia.
Un autore, pallido, indica il telefono rosso.
Il conduttore si avvicina a Sarti fuori onda: “Sei sicuro del decreto?”
“Devono smentirlo.
Se smentiscono, sembrano deboli.
Se non smentiscono, la gente ha paura.
In ogni caso, vinciamo noi,” sorride l’onorevole, convinto di governare l’effetto-valanga.
Non sa che a Palazzo Baracchini c’è un uomo alto quasi due metri che sta guardando lo stesso schermo.
E quell’uomo non ama i castelli di carte.
“Trenta secondi al rientro,” sussurra il direttore di studio.
“È lui, in persona.”
“Chi, Crosetto?” sgranano gli occhi in regia.
“Il ministro vuole parlare adesso.”
Sarti perde un chicco di sorriso.
Aggiusta la giacca.
La narrazione perfetta sta per incontrare l’imprevisto peggiore per ogni costruttore di paura: la realtà.
Rientro.
“Linea al ministro della Difesa, Guido Crosetto.
Ministro, ci sente?”
Un fruscio, poi una voce profonda, baritonale, sorprendentemente calma riempie lo studio.
“Buonasera a lei e ai suoi ospiti.
Vi sento fin troppo bene.”
Il conduttore prova a incorniciare: “Stavamo discutendo dei dati e delle analisi dell’onorevole Sarti.
C’è un timore diffuso—”
“Non c’è timore diffuso, c’è terrore indotto,” lo interrompe Crosetto, ghiaccio nella dizione.
“Ho sentito parlare di ‘carne da cannone’, ‘rapimento dei figli’, grafici rossi degni di un catastrofico.
Come padre, prima che come ministro, intervengo per fermare questo sciacallaggio.”
“Moderi i termini!” scatta Sarti.
“Qui si fa politica, non può zittire l’opposizione.”
“Io non voglio zittirla,” replica Crosetto, pazienza visibile persino nella compressione della linea.
“Voglio correggerla.
Lei ha detto una bugia.
Grossa.
Pericolosa.
Ha parlato di un decreto nel mio cassetto dopo Natale.
Quel cassetto non esiste.
Quel decreto non esiste.
Nessuna bozza, nessun appunto, nessuna intenzione mia, del Presidente Meloni o della maggioranza di reintrodurre la leva obbligatoria.
Nessuno vuole la leva obbligatoria.
Lo devo dire in cinese o basta l’italiano?”
Lo studio ammutolisce.
La smentita è netta, priva di aloni.
Sarti, spinto all’angolo, gioca la carta della dietrologia.
“La Germania ne parla, la Francia ne parla, Trump vuole eserciti europei forti.
Vuole farci credere che l’Italia dirà no alla NATO?
State mentendo perché è impopolare.”
Un attimo di pausa attraversa la linea, poi la voce torna, più didascalica, rivolta alla platea di casa.
“Parliamo di cose serie.
Non tornerà la leva non perché siamo ‘buoni’, ma perché è inutile.
Le guerre moderne non si combattono con masse di ragazzi addestrati due mesi.
Quella è la Prima guerra mondiale.

Oggi servono professionisti iperspecializzati, cyber, droni, satelliti, logistica avanzata.
Un esercito di leva sarebbe un peso, un costo enorme e una risorsa scadente.
Ho bisogno di ingegneri, tecnici, militari professionisti.
Non di strappare vostro figlio dall’università per fargli marciare in cortile.
Sarebbe uno spreco di vita e denaro pubblico.”
È un no tecnico, non ideologico.
Per questo squarcia la scenografia della paura.
La Ghisleri interviene con cautela.
“Ministro, i dati dicono che la gente ha paura.
Il 72% non me lo sono inventato.”
“I numeri sono veri,” riconosce Crosetto.
“La domanda è: perché hanno paura?
Perché c’è una minaccia reale o perché da due mesi certi politici dicono ‘attenti, la Meloni vuole i vostri figli’?
Voi create il mostro.
Lo colorate di rosso, gli mettete i denti, lo portate in prima serata, poi chiedete: ‘Hai paura del mostro?’.
È normale che rispondano sì.
State usando paure legittime come clava politica.
Avvelenate i pozzi inventando un problema che non c’è, per poi proporvi come soluzione.”
La regia indugia sulle mani di Sarti che tremano.
“Lei banalizza,” tenta l’onorevole, la voce che stride.
“Qui si parla di valori.
Avete reintrodotto la ‘giornata del sacrificio alpino’, parlate di patria nelle scuole.
Create il clima culturale per la guerra.
E la riserva?
Diecimila uomini volontari non è anticamera della leva?”
Una risata breve, secca.
“Onorevole, confonde l’ABC.
La riserva esiste nelle democrazie mature, dagli USA alla Svizzera, ed è composta da volontari.
Volontari significa scelta.
Un ex militare o un civile con competenze dice: ‘Se serve, ci sono per il mio Paese in emergenza’.
Nessuno lo va a prendere a casa coi carabinieri.
È libertà.
Il vostro problema è che non concepite che qualcuno possa amare la patria senza obblighi.
Per noi è un onore, ma resta una scelta.
Finché sarò ministro, nessun ragazzo sarà costretto a mettere gli anfibi se non lo vuole.”
Il conduttore coglie l’attimo, cerca di canalizzare.
“Ministro, quindi, ufficialmente, oggi 11/12/2025, possiamo archiviare la parola ‘obbligatorio’?
Le famiglie possono stare tranquille?”
“Possono stare più che tranquille.
Possono spegnere la tv e dare la buonanotte ai figli, sapendo che nessuno li chiamerà.
Preoccupatevi, piuttosto, di chi urla ‘al fuoco’ in un teatro affollato per un titolo in più domani.
La disinformazione strategica è il vero pericolo.”
Sarti perde l’ultimo freno e tenta il colpo personale.
“Lei recita da moderato, ma è il ministro che vende armi.
La lobby.
Facile dire ‘niente leva’ mentre fate affari coi cannoni.”
Il conduttore fa una smorfia.
La voce al telefono scende ancora, più lenta, tagliente.
“Onorevole, lei è un parlamentare.
Ha detto una cosa di cui risponderà nelle sedi opportune se non la ritratta.
Io rappresento lo Stato e le donne e gli uomini che rischiano la vita per garantire anche a lei la libertà di dire sciocchezze in tv.
L’Italia non ‘vende armi’: produce sicurezza.
Quella che le permette di svegliarsi domattina in una democrazia, non sotto una dittatura.
Se preferisce un mondo senza difese, scelga i Paesi dove la pace è quella dei cimiteri.
Qui la pace si difende.
Con professionisti, non con i ragazzini.
Credo di aver chiarito.”
Click.
La linea cade, suono secco come una ghigliottina.
Niente saluti, niente convenevoli.
Ha detto ciò che doveva, ha smontato il giocattolo e se n’è andato.
Il conduttore resta due secondi sospeso, lo sguardo fisso al telefono rosso.
Poi si gira verso Sarti.
Lo sguardo non è più complice: è inquisitivo.
“Onorevole, il ministro è stato netto.
Nessun decreto, nessun obbligo, inutilità tecnica.
La sua narrazione del cassetto segreto… ne esce a pezzi.
Ha prove?”
Sarti boccheggia.
La Ghisleri interviene con la freddezza dei numeri.
“Una nota: durante la telefonata, la curva del sentiment è cambiata.
La paura è crollata, è salita la rabbia.
Non contro il governo, contro di noi, contro la trasmissione.
Messaggi ripetono: ‘Perché ci avete spaventato per niente?’”
Sarti si asciuga la fronte, sistema gli occhiali.
“Il ministro ha smentito, bene per lui… ma la vigilanza democratica resta necessaria.
Le intenzioni culturali…”
È come cercare di vendere un ombrello sotto un cielo di vetro.
Il conduttore, stanco, taglia corto.
“Siamo onesti: abbiamo parlato quaranta minuti del nulla.
Abbiamo terrorizzato nonne e famiglie per un fantasma.”
Si volta verso la Ghisleri.
“Conclusione?”
“Semplice,” risponde.
“La narrazione della paura ha le gambe corte quando incontra la realtà.
Crosetto ha fatto chirurgia comunicativa e rimosso un tumore in tre minuti.
E temo che il boomerang farà male ai sondaggi dell’opposizione.”
Sarti raccoglie i fogli in fretta, infila il tablet senza spegnerlo.
Sa che domani i titoli faranno male e che la sua strategia ha consegnato al ministro l’immagine del padre che rassicura.
Un autogol perfetto.
Il conduttore si alza, sistema la giacca.
Sul ledwall la parola OBBLIGATORI si spegne, rimpiazzata dal logo del programma.
“Questa sera abbiamo imparato una lezione,” dice guardando in camera.
“La politica ama gli scenari, ma a volte basta una telefonata per riportare tutti coi piedi per terra.
Nessuna leva, nessun obbligo, nessuna cartolina.
I vostri figli possono dormire tranquilli.
E forse, da stasera, dovremmo dormire più tranquilli anche noi, diffidando un po’ di più di chi vende la fine del mondo a chili.”
Le luci si abbassano.
I tecnici iniziano a smontare.
Sarti esce quasi correndo, inseguito dall’eco di una voce baritonale che ha vaporizzato settimane di propaganda.
La sinistra voleva mettere il governo sotto accusa, ma ha trovato una sceneggiatura al contrario: niente guerra, niente leva, niente fantasmi.
Solo una resa in tempo reale, sotto gli occhi di tutti.
E quel silenzio finale, più rumoroso di mille urla, resterà come l’impronta digitale di una disfatta comunicativa perfetta.
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