“Il vero scontro politico non si vince con i voti, ma con le immagini. Non in Parlamento, ma in quello spazio ridotto dove la telecamera, implacabile, decide chi ha il diritto di esistere e chi no. Quella sera, a La7, era in corso un’esecuzione mediatica.”
🔥 Atto Primo: Il Tempio Laico e il Processo in Contumacia.
Eravamo nel tempio laico dell’informazione progressista, in quello studio di La7 che per una certa parte d’Italia è l’ultimo fortino della civiltà contro le presunte barbarie della destra. L’atmosfera a Piazzapulita non era di dibattito, ma di gravità solenne, quasi un processo che si celebrava in contumacia.
Le luci blu elettrico tagliavano il buio della scenografia, riflettendosi sugli occhiali di Corrado Formigli, il Gran Cerimoniere di questa liturgia politica. La sua postura era studiata: busto in avanti, sguardo penetrante, quella leggera increspatura sulla fronte che suggerisce preoccupazione per le sorti della Repubblica. Formigli non poneva domande per sapere, ma per confermare tesi che aleggiavano già nello studio come verità rivelate.
Dall’altra parte del collegamento, o forse seduta su uno scranno che pareva elevarsi moralmente sopra il resto del Paese, c’era Laura Boldrini. Non una semplice deputata del Partito Democratico, ma l’icona vivente dei diritti, la custode dell’ortodossia europeista, la vestale che sorveglia il fuoco sacro della democrazia contro i venti del populismo. Il suo volto era una maschera di severità istituzionale, senza traccia di dubbio, solo la certezza granitica di chi si sente dalla parte giusta della Storia.
Il dibattito non verteva su misure amministrative. L’obiettivo era totale: si discuteva l’ontologia stessa di Giorgia Meloni, la sua presentabilità, la sua compatibilità genetica con il mondo moderno.
💥 L’Arma Letale: La Domanda sulla Modernità.

Formigli ha incalzato con un capolavoro di retorica insidiosa. Non ha chiesto se i provvedimenti fossero giusti o sbagliati, ma se questa destra, la destra di Meloni, “sia abbastanza moderna”.
L’uso della parola moderna è stato l’arma letale, tracciando un solco incolmabile. Da una parte, la modernità (sinistra, illuminata, europea, globalizzata); dall’altra, la arretratezza (destra, provinciale, vecchia).
Era un assist a porta vuota per la Boldrini, che ha raccolto il passaggio con l’eleganza fredda di chi aspettava solo quel momento per emettere la sentenza. La risposta è iniziata con un “no” che è risuonato come una pietra tombale: non un no politico, ma un no culturale, antropologico.
L’esponente Dem ha aperto il dizionario degli aggettivi più cari all’antifascismo militante da salotto. Ha definito la linea politica di Meloni: reazionaria (un pesante termine ottocentesco che evoca chi vuole fermare le lancette dell’orologio), poi retriva e, con un climax ascendente di indignazione, oscurantista.
Con l’accusa di oscurantismo, Boldrini ha compiuto il salto di qualità: non stava più criticando un avversario politico, ma descrivendo un nemico della ragione. L’oscurantismo è il rifiuto della luce, la superstizione contro la scienza. Nell’immaginario costruito sapientemente per il pubblico di La7, l’Italia guidata da Meloni era un paese cupo, avvolto nella nebbia, dove i diritti venivano calpestati.
💔 Il Paradosso Irritante: Lezioni di Liberalismo dalla Sinistra.
L’accusa si è poi spostata sul piano internazionale: questa destra non è adatta a rappresentare un paese fondatore dell’Unione Europea. Qui emerge il totem dell’europeismo, il destino manifesto. Chi osa discutere Bruxelles non è un critico, è un eretico. Meloni, agli occhi di Boldrini, era l’eresia fatta persona.
Ma il paradosso più affascinante (e irritante) si è consumato quando il dibattito è sceso sul terreno economico. Laura Boldrini, esponente di un partito che dovrebbe difendere i lavoratori, è salita in cattedra per dare lezioni di liberalismo alla destra.
L’accusa principale mossa a Fratelli d’Italia non era di essere troppo di destra, ma di non essere abbastanza liberale. “Questa non è una destra liberale,” ha tuonato, con l’aria di chi svela un segreto inconfessabile.
E il perché? Perché Giorgia Meloni si ostinava a difendere l’interesse nazionale e le specificità italiane contro l’omologazione del mercato unico.
I due “crimini economici” portati sul banco degli imputati: la difesa dei balneari e l’opposizione alla riforma del Catasto.
Sulla Bolkestein (la direttiva europea sulle concessioni balneari), Boldrini ha accusato Meloni di fare le barricate. Nella visione della ZTL (Zona a Traffico Limitato, intesa come élite di sinistra), le 30.000 aziende balneari familiari non sono un patrimonio, ma una corporazione di privilegiati da spazzare via per aprire le spiagge alle multinazionali e ai fondi esteri, in nome della sacra concorrenza. L’opposizione di Meloni veniva letta non come difesa del lavoro italiano, ma come clientelismo. Il cortocircuito era perfetto: la sinistra tifava per le grandi concentrazioni di capitale contro la piccola impresa.
Il secondo capo d’imputazione toccava il bene rifugio per eccellenza: la casa. Boldrini ha puntato il dito contro il rifiuto di Meloni di procedere alla riforma del Catasto, parlando di aggiornamento ed equità. In realtà, l’operazione che Meloni bloccava era la revisione degli estimi per adeguarli ai valori di mercato, che si sarebbe tradotta in un aumento massiccio della tassazione immobiliare. Opporsi a questa stangata, nel vocabolario orwelliano della Boldrini, diventava un atto illiberale.
Formigli annuiva. Lo studio era pervaso da un silenzio colpevolista. Il quadro era completo: Giorgia Meloni dipinta come un mostro a tre teste: reazionaria, antieuropea e illiberale.

Boldrini scandiva le parole con lentezza, parlando con il distacco aristocratico di chi non deve fare i conti con la fine del mese, ma solo con la purezza dei propri principi. Credeva di star demolendo l’avversario. Non si rendeva conto che stava fornendo a Meloni l’arma perfetta per la controffensiva.
🌙 Atto Secondo: La Contro-Offensiva dello Smartphone.
Mentre la regia staccava sul primo piano di Boldrini, soddisfatta della sua requisitoria, e Formigli si preparava a lanciare la pubblicità, lontano dai riflettori dello studio, in un esterno giorno che profumava di realtà, si accendeva un’altra luce: la piccola ottica di uno smartphone tenuto in verticale.
Era l’arma di distruzione di massa della politica contemporanea: la disintermediazione.
Giorgia Meloni non ha convocato la stampa. Non ha inviato note diplomatiche. Ha fatto quello che fa la gente comune quando si sente diffamata: ci ha messo la faccia, subito, senza filtri, senza trucco di scena, con lo sfondo sfocato di un giardino che poteva essere di chiunque. Era la risposta della piazza virtuale e reale al Palazzo di Piazzapulita.
Il video è iniziato e l’impatto visivo è stato una dichiarazione di guerra. Boldrini era rigida e marmorea; Meloni era dinamica, espressiva, viva. La camera traballava leggermente, segno di una presa manuale autentica.
La prima cosa che ha colpito sono stati gli occhi: un misto di incredulità e divertimento sarcastico. Era lo sguardo di chi ha sentito una barzelletta che non fa ridere, ma che rivela la follia di chi l’ha raccontata.
“Punto primo,” ha esordito Meloni. La voce era ferma, il tono di chi sta per smontare un giocattolo rotto per mostrare a tutti che dentro non c’è nulla.
“Corrado Formigli chiede a Laura Boldrini…”
In quella pausa teatrale, c’era tutto il disprezzo per il corto circuito autoreferenziale della sinistra. “Guardateli,” diceva Meloni al suo pubblico, “guardate come se la suonano e se la cantano. Un conduttore di sinistra chiede a un esponente di sinistra cosa ne pensa della destra.” Un circuito chiuso, una bolla impenetrabile.
Meloni ha fissato i paletti: l’accusatrice, Boldrini, non è un giudice terzo, ma l’avversaria storica, l’incarnazione di quella sinistra che ha combattuto ogni battaglia contro l’interesse nazionale. Chiedere a lei un parere su Meloni è come chiedere all’oste se il vino dell’altra osteria è buono.
😱 Il Paradosso Democratico e la Democrazia a Libertà Vigilata.

Poi è arrivato l’affondo sul paradosso democratico. L’argomento di Boldrini non era se il Governo stesse lavorando bene o male, ma se Fratelli d’Italia potesse governare seppure gli italiani lo avessero votato.
“E già,” ha sussurrato sarcastica Meloni, “è divertente perché una cosa è che dici secondo te governerebbero bene o male. No, ma loro ti chiedono se, seppure gli italiani li dovessero votare, possono governare.”
Questo è stato il cuore pulsante dello scontro ideologico. Meloni ha spostato il dibattito dal piano della competenza (dove Boldrini voleva portarlo) al piano della democrazia.
L’accusa rivolta alla coppia Formigli-Boldrini era gravissima: voi non accettate il voto. Voi teorizzate una democrazia a libertà vigilata, dove il popolo è sovrano solo se vota come dite voi. Se sceglie la destra, il popolo ha sbagliato e il governo non è legittimo.
Meloni si è eretta a difensore della sovranità popolare: in una democrazia, chi prende i voti governa. Punto. Mettere in discussione questo principio, sostenendo che una forza politica non sia presentabile nonostante il consenso, significa odiare la democrazia stessa.
“A Laura Boldrini, che è un avversario, quindi manco un’opinionista, cioè è proprio una cosa surreale.”
La parola surreale per descrivere la bolla mediatica della sinistra.
L’ironia si è fatta tagliente e quasi feroce. “E già, voglio dire, io comincio a suggerire a Enrico Letta [o al segretario attuale] di cambiarlo il nome di ‘sto partito, no? Perché, insomma, comincia a essere un po’ surreale e ridicolo.”
Meloni stava demolendo la presunta superiorità morale della sinistra: “Vi chiamate democratici, ma avete paura del voto. Vi chiamate progressisti, ma volete fermare la volontà popolare con i veti dei salotti televisivi.”
🎯 Atto Terzo: L’Illiberalismo come Scudo Popolare.
Smontata la premessa, Meloni è passata al contrattacco concreto. Ha annunciato il motivo per cui Fratelli d’Italia “non potrebbe governare”: la ragione per cui Boldrini la definiva illiberale.
“Perché è contrario alla riforma del Catasto.”
Meloni ha tradotto il linguaggio oscuro della tecnocrazia nel linguaggio della sopravvivenza quotidiana. “Illiberale e non può governare perché non vogliamo tassare le case.”
Il sottotesto è potentissimo: Boldrini vi sta dicendo che per essere moderni dovete pagare più tasse sul vostro unico bene rifugio. Meloni si oppone. Se opporsi a una stangata fiscale significa essere illiberali, allora la leader indossa quell’etichetta come una medaglia al valore civile.
E sul secondo punto, l’esproprio (parola usata da Meloni, non concessioni) delle aziende balneari.
“Siamo illiberali perché pensiamo che un’impresa che, rispettando le regole che gli aveva dato lo Stato italiano, dopo aver investito, non possa essere espropriata per fare un favore ai soliti noti, dei grandi poteri forti.”
Ecco il mostro: la multinazionale straniera, senza volto, senza cuore, che arriva a comprarsi i pezzi pregiati dell’Italia. Meloni ha costruito una dicotomia manichea irresistibile: da una parte, le famiglie italiane e i piccoli imprenditori; dall’altra, i giganti della finanza globale amici della sinistra, pronti a colonizzare il Bel Paese.
L’accusa di illiberalismo è stata così rispedita al mittente con un carico di tritolo ideologico. Meloni ha smascherato quella che lei considera la grande menzogna della sinistra: chiamarsi liberali per nascondere il servilismo verso i poteri forti.
🕯 La Chiusura: Il Verdetto Popolare.

La chiusura è stata lapidaria. “Ecco a voi, signori,” ha detto, allargando le braccia come a presentare uno spettacolo circense un po’ triste, “la sinistra italiana spiegata in due minuti.”
Il video si è interrotto bruscamente, schermo nero.
Meloni non si è giustificata per non essere moderna o presentabile. Ha fatto l’esatto opposto: ha rivendicato la sua diversità radicale, dicendo no all’Europa della Bolkestein e no alla sinistra delle tasse.
In quei due minuti di video selfie, Giorgia Meloni ha compiuto l’operazione definitiva: ha preso l’accusa di essere inadatta e l’ha trasformata nella prova che lei è l’unica adatta a difendere gli italiani da una sinistra che, secondo la sua narrazione, ha smesso di amare il proprio paese per innamorarsi delle regole astratte di un mercato che stritola i piccoli.
Boldrini voleva un processo. Meloni le ha risposto con un verdetto popolare. E in questo scontro tra la ZTL e la piazza, la comunicazione diretta vince per KO tecnico.
La guerra è appena iniziata, e l’ultima mossa non è ancora stata giocata.
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