🔥 C’è un punto nel frastuono dei salotti TV in cui una voce calma riesce a zittire tutti.
È successo quando Maria Luisa Rossi Hawkins, schiena dritta, taccuino sulle ginocchia, ha detto basta alla risata facile contro Giorgia Meloni. Di fronte a lei, la famosa “letterina” di Luciana Littizzetto alla Presidente del Consiglio, letta da Fabio Fazio come fosse un innocuo gioco.
Dietro i complimenti di Donald Trump trasformati in uno sketch sul maschilismo, in pochi minuti quella che sembrava una scenetta innocua è diventata un banco di prova: satira o livore? Critica o disprezzo verso chi rappresenta l’Italia nel mondo?

La scena di partenza è nota. Studio elegante, luci morbide, Fabio Fazio alla scrivania. Luciana Littizzetto entra e si sistema, mezzo seduta, mezzo appoggiata sul tavolo. Il pubblico ride già prima che inizi a parlare. È il rito fisso della domenica sera.
Arriva il momento della famosa letterina. Destinataria la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Pretesto: la frase di Donald Trump durante un incontro, l’ex presidente americano la chiama “Beautiful Georgia” nel suo linguaggio enfatico. In studio, quella parola diventa materiale comico. La comica gioca sul termine, insinua che il complimento sia solo estetico, che Trump guardi prima il volto e poi la politica. Lancia frecciate al maschilismo, al leader straniero, alla premier italiana.
Il pubblico ride. Fazio accompagna con il suo sorriso di rito. È il copione perfetto di una certa televisione: politica ridotta a siparietto, l’avversario trasformato in bersaglio fisso.
Fuori da quello studio, però, c’è chi quel linguaggio lo conosce bene. Maria Luisa Rossi Hawkins ha passato anni a seguire la politica statunitense, ha visto Trump da vicino, ha ascoltato conferenze e incontri ufficiali.
Quando sente quell’uso del termine “Beautiful” trattato come un complimento alle gambe, non ride affatto. Per lei, quella leggerezza non è solo una battuta riuscita o no; è il segno di un riflesso automatico. Ogni occasione è buona per ridicolizzare la Presidente del Consiglio, anche quando il pretesto è un riconoscimento internazionale al ruolo dell’Italia.
Quando la giornalista decide di intervenire, il tono è l’opposto del registro comico. Niente urla, niente pose. Occhiali leggermente abbassati, voce bassa ma ferma.
Dice una cosa semplice: nel linguaggio di Trump, quel Beautiful non c’entra nulla con il trucco o il vestito. È il modo in cui l’ex presidente segnala stima, forza, coraggio politico. Ricorda che lo stesso aggettivo lo ha usato per altri leader – Emmanuel Macron, Volodimir Zelenski – interlocutori che agli occhi del magnate rappresentano partner utili, figure che contano. Per lui, Beautiful è un timbro di approvazione, un “bravo, conti” travestito da complimento enfatico.
Maria Luisa Rossi Hawkins non pretende di riabilitare Trump. Fa un’operazione diversa: rimette le parole nel loro contesto. Spiega che in diplomazia un elogio pubblico ha sempre un peso politico. Significa che l’Italia non è più ai margini, ma di nuovo al tavolo. Ridurre tutto a una battuta sulle curve della premier è un modo per minimizzare il ruolo del Paese.

Da qui la critica si allarga. La giornalista parla apertamente di un pezzo di mondo culturale che non sopporta l’idea di riconoscere a Giorgia Meloni neppure un risultato, neppure quando arriva dall’estero.
Per quel mondo, ogni gesto di stima verso la Presidente del Consiglio va subito ridicolizzato, rovesciato, trasformato in arma contro di lei. Secondo Rossi Hawkins, la letterina non colpisce solo la leader politica, colpisce l’immagine dell’Italia.
La frase più dura arriva quando affronta di petto la questione della satira. La giornalista non fa giri di parole. Definire “geniali” monologhi costruiti apposta per svuotare di valore i complimenti di un leader straniero, solo perché rivolti a una premier che non piace, non è libertà di espressione, è amarezza travestita da umorismo.
E qui arriva il passaggio che fa crollare il sipario in diretta, il dettaglio che nessuno doveva toccare.
Rossi Hawkins si prende il tempo di notare un dettaglio simbolico, una contraddizione che ribalta l’accusa di maschilismo. Ricorda che la stessa comica che parla di maschilismo siede ogni settimana sulla scrivania di un conduttore uomo che guida la trasmissione e porta a casa un compenso più alto.
Non è un pettegolezzo, è un promemoria affilato. “Se vuoi combattere davvero un sistema, devi prima misurarti con le sue contraddizioni concrete.”
Il colpo qui non è alla persona, è alla coerenza di un certo modo di fare televisione. Denunci il maschilismo, ma ti inserisci in un format che lo riproduce nei ruoli, nelle gerarchie, nei toni.
Chiedi rispetto per le donne, ma non ti chiedi se la prima donna premier meriti almeno una base di rispetto istituzionale come capo del governo, a prescindere dalle opinioni politiche.
Questo dettaglio messo lì con calma ribalta la scena e trasforma l’ironia in imbarazzo.
Lo studio si irrigidisce, i sorrisi si congelano, il pubblico capisce che il gioco è cambiato. Non è uno scontro urlato: è una smascheratura per sottrazione, fatta di pause e fatti che restano lì, difficili da scacciare.
La riflessione di Maria Luisa Rossi Hawkins si sposta sul piano culturale. Parla di un pezzo di sinistra intellettuale che sembra incapace di accettare l’idea che una donna, conservatrice, madre, cresciuta fuori dalle élite tradizionali, possa guidare il Paese. Per molti, dice, Meloni non è una Presidente del Consiglio; è un’anomalia da ridicolizzare.

Il vero sessismo, dice, è nel disprezzo sistematico riservato a una donna solo perché non appartiene al campo giusto.
Il suo intervento, proprio perché pacato, risuona forte. Non è una militante di partito; è una cronista che rimette al centro una parola dimenticata: dignità.
Dignità della carica: prima di tutto, chi siede a Palazzo Chigi rappresenta il Paese intero. Dignità del dibattito pubblico, che non può ridursi a gag seriali sulla stessa persona.
Alla fine, il messaggio che lascia sul tavolo è tanto semplice quanto scomodo: puoi non condividere una sola riga del programma di Giorgia Meloni, puoi combatterla politicamente ogni giorno. Ma se per colpirla arrivi a ridicolizzare persino il momento in cui qualcuno riconosce il ruolo dell’Italia, allora il problema non è più lei. Sei tu che hai smarrito il confine tra legittima opposizione e disprezzo per il tuo stesso Paese.
I social esplodono per quel momento preciso, perché lì si capisce che il limite è stato imposto. E la domanda che domina tutto è: qual era il punto che nessuno doveva toccare? 💥
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