🔥 C’è un vertice a Parigi che non sta facendo rumore nei telegiornali, ma che potrebbe rappresentare una delle spaccature più profonde e pericolose nella storia dell’Unione Europea.

Si è svolto lontano dai riflettori, con un numero selezionato di invitati, ma ciò che è emerso dopo ha acceso un incendio diplomatico di cui nessuno nei talk show o nelle grandi testate vuole parlare apertamente.

Eppure una voce si è alzata, forte, netta, tagliente. È quella di Giorgia Meloni. La Presidente del Consiglio italiana ha denunciato senza mezzi termini quello che definisce un “errore strategico clamoroso,” un segnale di debolezza istituzionale, un passo pericoloso verso un’Europa divisa, elitaria e, di conseguenza, più fragile.

Ma andiamo per gradi. Torniamo a Parigi.

Ufficialmente, si trattava di un vertice strategico per discutere della situazione ucraina, del ruolo dell’Europa nel contesto globale, delle sfide imminenti. Una riunione tra i leader più influenti del continente per cercare una linea comune.

Ma qualcosa ha insospettito subito l’Italia, e non solo.

Il vertice, convocato in maniera rapida e senza un’agenda pubblica chiara, non includeva tutti i 27 Stati membri. Anzi, includeva solo una manciata di governi. L’Italia è stata invitata, ma altri Paesi chiave, assolutamente centrali nello scacchiere europeo, sono stati lasciati fuori.

Paesi come la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania. Paesi che vivono con la Russia alla porta di casa, che sono stati tra i primi a inviare aiuti concreti all’Ucraina, e che hanno tutto il diritto e il dovere di sedere ai tavoli dove si decide il futuro della sicurezza europea.

La domanda sorge spontanea e bruciante: perché escluderli? Perché tenere fuori proprio chi ha la maggiore esposizione geografica e strategica nel conflitto ucraino?

Giorgia Meloni ha posto il quesito con tono critico, evidenziando come la scelta francese non sia solo una gaffe diplomatica, ma un preciso indirizzo politico che suggerisce una direzione inquietante.

Nel cuore di questa accusa c’è un’idea molto semplice, ma dirompente: l’Europa non può essere gestita come un club esclusivo dove pochi decidono per tutti.

Se i leader europei iniziano a escludere gli altri da discussioni fondamentali, allora viene meno il principio stesso di unione. Si passa da una comunità di Stati che cooperano su base paritaria a una piramide gerarchica guidata da un’oligarchia di Stati guida. Ed è proprio questa visione che Meloni ha voluto mettere in discussione.

Ma c’è di più, il veleno diplomatico che ha avvelenato l’aria.

Non è solo questione di chi è stato lasciato fuori, ma anche di ciò che si è deciso dentro. Secondo Meloni, infatti, il vertice non aveva alcuna proposta chiara e concreta per un cessate il fuoco in Ucraina, né una visione definita per un accordo duraturo. Non era, insomma, un incontro per trovare soluzioni, ma una mossa di posizionamento politico.

Qualcuno ha detto che l’incontro sembrava più un tentativo di creare un asse alternativo, un blocco europeo più autonomo rispetto agli Stati Uniti e meno vincolato alla tradizionale alleanza atlantica. Una visione che, se confermata, rischia di aprire una spaccatura ulteriore non solo dentro l’Europa, ma anche nei rapporti con Washington.

È qui che il discorso si fa ancora più complesso. Meloni ha lanciato un messaggio inequivocabile: se persino gli Stati Uniti mettono in discussione la legittimità di un vertice che non rappresenta l’intera unione, allora significa che stiamo parlando della stessa credibilità dell’Unione Europea.

Nel mirino della premier italiana non c’è solo il metodo, ma il messaggio: quando un Paese fondatore come la Francia decide di convocare incontri selettivi, lancia un segnale pericoloso. Sta dicendo: “Noi decidiamo, gli altri ascoltano.”

Questo modo di intendere l’Europa mina alla base i valori della cooperazione e della parità tra Stati membri e soprattutto alimenta un senso di frustrazione, di esclusione, di distanza tra le capitali.

Il silenzio dei media su questa vicenda è significativo e assordante. Si parla poco, si minimizza, si evita. E quando si tace, spesso lo si fa per convenienza politica. Eppure gli effetti di questo vertice si faranno sentire nel tempo. Ogni decisione che esclude qualcuno crea una frattura. Ogni frattura genera sfiducia, e la sfiducia, in un’unione già fragile e contestata, è un veleno che si diffonde.

Meloni ha toccato anche un altro punto dolente: la pretesa della Francia di assumere un ruolo di supremazia naturale all’interno dell’Unione. Un ruolo non scritto, ma agito con costanza, che si manifesta proprio in vertici come questo, in cui Parigi si comporta da capitale decisionale de facto d’Europa.

Ma l’Europa non è la Francia, non è la Germania. L’Europa è anche la Polonia, la Romania e l’Italia con la sua visione strategica nel Mediterraneo. Se si continua su questa strada, l’Unione rischia di diventare una struttura piramidale, non più una federazione orizzontale di Stati sovrani, ma una nuova architettura centralizzata in cui il potere si concentra in poche capitali e tutti gli altri devono adeguarsi.

Il messaggio finale che emerge da tutta questa vicenda è semplice ma potente: l’unità dell’Europa non può essere costruita con formule selettive, non può essere imposta dall’alto. Deve essere voluta, condivisa, costruita insieme, altrimenti sarà solo un’illusione.

E adesso tocca a te. Hai visto come funzionano certi meccanismi? Hai sentito come certe scelte vengono mascherate da nobili intenzioni? Hai compreso che dietro certi silenzi si nascondono visioni precise?

La crisi europea non è solo economica o militare; è prima di tutto una crisi di visione. E finché lasceremo che pochi decidano per tutti, finché accetteremo vertici esclusivi, finché taceremo di fronte a esclusioni strategiche, continueremo a perdere pezzi della nostra democrazia.

La sedia vuota della Lettonia e dell’Estonia a quel tavolo di Parigi è il simbolo più eloquente della crepa che si sta allargando.

E mentre molti fingono che questo sia solo un normale scambio diplomatico, una delle tante riunioni tecniche, è sufficiente osservare il silenzio calcolato che lo circonda per capire che non c’è nulla di ordinario. Stanno ridefinendo quel percorso senza renderlo pubblico, decidendo chi ha voce e chi no.

Le reazioni, per quanto controllate, iniziano a trapelare da fonti diplomatiche. C’è un malessere diffuso. I Paesi Baltici, che hanno investito risorse e credibilità nel sostegno all’Ucraina, si vedono trattati come partner secondari.

Quale criterio è stato usato per selezionare gli invitati a questo vertice? È un dettaglio che nessuno sembra voler spiegare. Non è stata usata la rotazione, né la prossimità geografica, né l’impegno militare. Semplicemente sono stati invitati alcuni e gli altri lasciati fuori: un atto arbitrario che mina alle fondamenta il principio della parità tra Stati membri.

Macron ha agito ancora una volta come se Parigi fosse il centro operativo dell’Unione. Ma l’Unione non ha un centro, o almeno non dovrebbe averlo, perché è stata costruita proprio per evitare che ci fosse una capitale dominante.

E invece è proprio questo che sta emergendo: una struttura parallela, informale, che decide fuori dai canali ufficiali. Vertici convocati su base personale, alleanze bilaterali costruite per contare di più nei momenti che contano.

Ma questa strategia a lungo termine è letale perché non genera consenso, genera esclusione, ostilità, sfiducia. L’Europa delle élite, l’Europa dei salotti, l’Europa dei circoli riservati sta uccidendo l’idea di Europa condivisa.

Meloni lo sa e lo ha detto chiaramente. L’Italia non accetterà mai un modello europeo in cui pochi parlano e tutti gli altri ascoltano.

Ciò che è avvenuto a Parigi, secondo Meloni, è un errore non solo formale, ma sostanziale, che ha indebolito l’Unione proprio nel momento in cui avrebbe dovuto mostrarsi più forte. Chi ha dato a Macron il ruolo di regista dell’Europa? Non il Parlamento europeo, non i cittadini, non i trattati. È un potere che si è preso, non che gli è stato conferito.

E il disallineamento tra Unione Europea e Opinione Pubblica cresce ogni giorno. Mentre i leader fanno vertici a porte chiuse, i cittadini vedono aumentare la distanza. E in questo vuoto si infilano il malcontento, il populismo, la disaffezione.

La linea di demarcazione tracciata da Meloni è molto chiara. O si va verso un’Europa plurale dove le decisioni si prendono insieme, oppure si entra in una fase inedita in cui le istituzioni europee diventano semplici strumenti di potere per chi già lo detiene.

E la domanda finale è sempre la stessa. Siamo ancora in tempo per farlo, oppure abbiamo già oltrepassato il punto di non ritorno?

Il vertice di Parigi ha semplicemente tolto il velo. Ha mostrato plasticamente ciò che per anni è stato solo sussurrato. Il silenzio è calcolato, ma la crepa è visibile. E si allarga.

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