🔥 Il traffico sembra scorrere più nervoso del solito a Roma, ma è all’interno dello studio principale – quello riservato alle grandi occasioni che spostano l’opinione pubblica – che la temperatura ha raggiunto livelli d’altoforno.

Le luci dei riflettori, bianche e impietose, illuminano il centro della scena, dove sta per consumarsi quella che i retroscenisti politici hanno già ribattezzato come la “resa dei conti finale.”

Non è un dibattito qualunque. Non ci sono mezze misure.

Da una parte c’è Giorgia Meloni, il Presidente del Consiglio, forte del consenso, combattiva, che ha fatto della difesa dell’identità nazionale il suo vessillo.

Dall’altra, Elsa Fornero, l’ex Ministro, la tecnica rigorosa, il volto dell’austerità e dell’accademia che non fa sconti. Seduta con quella postura rigida di chi è abituata a impartire lezioni ex cathedra.

Il tema della contesa non è lo spread, non sono le pensioni, non è il debito pubblico. È qualcosa di apparentemente più leggero, ma che in realtà tocca le corde vive dell’orgoglio italiano: il riconoscimento UNESCO alla cucina italiana.

La notizia è fresca. La premier ha esultato parlando di un primato mondiale assoluto. La professoressa Fornero, dagli schermi delle TV avversarie, aveva scosso la testa parlando di bugie e propaganda. Ora sono lì, separate solo da un tavolo di cristallo.

Il conduttore, un veterano dei talk show che sa annusare il sangue nell’acqua, lancia la prima pietra, introducendo la discrepanza tra le dichiarazioni trionfalistiche e le fredde analisi dei tecnici. Si rivolge alla Fornero: è lei l’accusa.

Elsa Fornero si sistema gli occhiali con un gesto lento, quasi teatrale nella sua normalità. Guarda dritta in faccia Giorgia Meloni. Il suo tono di voce è basso, monocorde, intriso di quella superiorità intellettuale che fa infuriare i suoi detrattori.

“Vede, Presidente Meloni,” esordisce la Fornero, scandendo bene le sillabe, “io comprendo perfettamente le esigenze della politica. Capisco che lei debba alimentare giorno dopo giorno questa narrazione epica di un’Italia che risorge, che vince, che è migliore di tutti gli altri. È il suo mestiere, dopotutto: cercare voti, accarezzare la pancia del Paese.”

Fa una pausa, lasciando che il concetto penetri nel silenzio dello studio.

Meloni l’osserva immobile. Le mani incrociate sulla scrivania. Un sorriso impercettibile e pericoloso le increspa le labbra. Sembra una pantera che osserva una preda muoversi nell’erba alta, in attesa del passo falso.

La Fornero riprende, alzando leggermente il ritmo: “Lei ha dichiarato ai quattro venti, con toni trionfalistici, che siamo i primi al mondo. Ha detto agli italiani: siamo i primi ad avere la cucina Patrimonio dell’Umanità. Ebbene, Presidente, mi duole doverla correggere pubblicamente, ma questa è una falsità, o se vogliamo essere generosi, una grave inesattezza dovuta a scarsa preparazione dei suoi consiglieri.”

Snocciola dati: “La Francia ha ottenuto il riconoscimento anni e anni fa. Il Messico lo ha ottenuto nello stesso anno della Francia. Il Giappone ha avuto il suo riconoscimento poco dopo. Arriviamo terzi, forse quarti. Perché dobbiamo sempre fare la figura dei provinciali che si auto-proclamano imperatori del mondo, ignorando che gli altri hanno tagliato il traguardo un decennio prima di noi? Trovo questo atteggiamento non solo imbarazzante, ma profondamente diseducativo.”

Mentre la professoressa parla, snocciolando date e Paesi come se stesse interrogando uno studente impreparato, la regia stacca sul primo piano di Giorgia Meloni.

La premier non ha mai distolto lo sguardo. Non ha preso appunti frenetici. Ha solo allungato una mano verso una cartellina blu posata davanti a sé. Un movimento lento, deliberato.

Mentre la Fornero pronunciava la parola “provinciali”, Meloni ha aperto la cartellina ed estratto un singolo foglio. Lo tiene ora tra le dita senza guardarlo, perché sa a memoria cosa c’è scritto.

La Fornero conclude: “Quindi per favore, smettiamola con questa retorica del primato. Siamo arrivati bene, ma siamo arrivati dopo gli altri. Bisogna avere l’onestà intellettuale di ammetterlo.”

Il pubblico in studio è congelato. L’attacco è stato frontale, preciso, basato su dati che sembrano inoppugnabili.

Il conduttore si volta verso Giorgia Meloni, aspettandosi una replica politica, magari un appello al sentimento. Ma la Meloni non ha intenzione di difendersi. Ha intenzione di contrattaccare, e ha intenzione di farlo sul terreno preferito della sua avversaria: quello della competenza tecnica.

Si avvicina al microfono. Il suo respiro è calmo. “Ha finito, professoressa? Ha terminato la lezione? Ci ha spiegato quanto siamo piccoli, ignoranti e bugiardi noi della destra sovranista?” Il tono è sarcastico, tagliente come un rasoio.

Poi improvvisamente il volto della premier si indurisce, diventa serio, istituzionale, ma con una fiamma negli occhi che brucia bene.

“La ringrazio, perché il suo intervento, così pieno di spocchia e così vuoto di sostanza, è il regalo più grande che potesse farmi. È la dimostrazione plastica di quel complesso di inferiorità che affligge una certa sinistra radical chic e tecnocratica.”

“Voi godete, provate un piacere quasi fisico, solo quando potete parlar male dell’Italia. Siete così abituati a inchinarvi all’estero che non vi prendete nemmeno la briga di verificare le informazioni. Vi fermate al titolo di giornale per attaccare la Meloni. Ma stasera, Elsa, la lezione gliela faccio io. E gliela faccio gratis.

La Fornero apre la bocca per ribattere, offesa, ma la Meloni alza la voce, sovrastandola con autorità.

“No, adesso parlo io. Lei ha avuto il suo tempo per denigrare il Paese. Ora abbia la decenza di ascoltare la realtà.”

Solleva il foglio che aveva in mano, lo mostra alla telecamera, poi lo posa con un colpo secco sul tavolo, facendolo scivolare verso la sua interlocutrice.

“Lei ha citato la Francia. Ha detto che sono arrivati prima. Bravissima. Ma lo sa, professoressa, cosa c’è scritto nella motivazione UNESCO per la Francia? C’è scritto ‘Repas gastronomique des Français,’ il pasto gastronomico. Sa cosa significa? Significa che l’UNESCO non ha premiato la cucina francese, non ha premiato le ricette. Ha premiato un rito sociale, il modo in cui i francesi apparecchiano la tavola. Hanno premiato la forma, il galateo, un momento specifico della vita sociale. Non la cucina come sistema.”

Lo sguardo della Fornero vacilla. La sicurezza granitica dell’ex ministro inizia a mostrare le prime crepe.

La Meloni lo percepisce e affonda il colpo implacabile: “E poi ha citato il Messico: altra imprecisione colossale. Hanno riconosciuto la cucina tradizionale messicana, intesa come modello culturale ancestrale, comunitario. E il Giappone? Hanno premiato il Washoku, una filosofia, una pratica sociale basata sul rispetto della natura. Anche lì un’etica, uno stile di vita spirituale. Non la cucina come sistema.”

La voce della Meloni ora domina lo studio, risuona potente, carica di quella rivincita che non è personale, ma collettiva.

“Quello che è successo in questi giorni, e che a lei dà tanto fastidio ammettere, è un fatto storico unico. Per la prima volta nella storia dell’UNESCO, non è stato premiato un rito o una nicchia. È stato premiato il sistema della cucina italiana, tutto! Dalla produzione agricola alla trasformazione, dalla ricetta casalinga al grande ristorante, dalle Alpi alla Sicilia. L’intera cucina nazionale è diventata patrimonio.

“Nessuno, e sottolineo nessuno, aveva mai ottenuto questo riconoscimento sistemico. Siamo i primi al mondo. I primi ad aver certificato che la nostra cucina è cultura nella sua totalità. Non siamo terzi, non siamo quarti, siamo davanti a tutti!”

Si sporge sul tavolo, avvicinandosi fisicamente alla Fornero, che ora sembra rimpicciolita sulla sua sedia.

“Quindi, professoressa, quando lei va in televisione a fare la maestrina e a dire che mentiamo, lei sta facendo un danno all’Italia. Lei sta sminuendo il lavoro di un milione di italiani. E lo fa solo per odio politico, perché non sopporta l’idea che con questo governo l’Italia abbia smesso di chiedere scusa e abbia iniziato a pretendere il rispetto che merita. Lei dice che è propaganda. No, questa è sostanza. È la differenza tra conoscere i dossier e parlare per pregiudizi. Bastava leggere le motivazioni, professoressa. Bastava amare un po’ di più la propria nazione e un po’ meno la propria ideologia.”

La Fornero prova a mormorare una risposta. Cerca di dire che è una questione semantica, ma le parole le muoiono in gola. La forza dell’argomentazione tecnica della Meloni l’ha spiazzata. Non si aspettava che la premier scendesse nel dettaglio burocratico delle diciture UNESCO. Si aspettava uno scontro ideologico e invece ha trovato un muro di competenza specifica su quel singolo dossier.

Il conduttore, intuendo che il momento televisivo è perfetto, lascia correre qualche secondo di silenzio.

Meloni chiude la cartellina blu con un gesto definitivo, come chi chiude una sentenza passata in giudicato. Si appoggia allo schienale della sedia.

“Si rassegni, Elsa,” conclude con un tono più morbido, quasi ironico. “L’Italia ha vinto. E stasera, se vuole un consiglio, festeggi anche lei un bel piatto di pasta Patrimonio dell’Umanità. Magari le addolcisce la serata.”

L’applauso del pubblico parte timido e poi diventa scrosciante, immortalando la vittoria dialettica di chi, armato di un tecnicismo burocratico, è riuscito a ribaltare l’accusa di incompetenza contro l’élite dei “competenti.”

La domanda che tutti si pongono è: cosa rivelerà ancora il dossier?

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