🔥 Lo studio è un’arena circolare, progettata per non lasciare vie di fuga. Al centro, un tavolo di vetro scuro che stasera sembra una lastra di ghiaccio sottile, pronta a spaccarsi sotto il peso di un confronto che l’Italia attende da mesi. Non è un dibattito tra politici; è uno scontro antropologico.
Da una parte, Tommaso Montanari, il rettore, lo storico dell’arte, la voce tonante della sinistra radicale che ha appena riempito le piazze di Firenze. Indossa la sua sciarpa bianca, simbolo pacifista, annodata con cura sopra un cappotto che ha tenuto addosso anche in studio, come se volesse segnalare la sua estraneità a quel luogo.

Dall’altra parte, immobile e letale, c’è Giorgia Meloni, il Presidente del Consiglio. Non ha fogli davanti a sé, solo una penna e un bicchiere d’acqua. Indossa un completo blu notte sobrio, istituzionale. La sua postura è rilassata, quasi insolente nella sua tranquillità. Chi la conosce sa che quella calma è una diga che sta per cedere.
Il conduttore, consapevole che ogni parola fuori posto potrebbe innescare una rissa verbale, dà la parola a Montanari.
“Professore, lei ieri in piazza è stato durissimo. Ha parlato di governo fascista, di guerra, di nemici della Costituzione. Il Presidente Meloni è qui, glielo dica in faccia.”
Montanari non si fa pregare. Fissa la Meloni con lo sguardo di un inquisitore che ha già scritto la sentenza di condanna. La sua voce è un misto di disprezzo accademico e furore biblico.
“Vede, Presidente,” esordisce Montanari, “il problema non è politico. Il problema è culturale, anzi pre-politico. Lei è qui sorridente a rassicurare gli italiani, ma la verità è scritta nera su bianco: lei ha scritto ‘Io sono un soldato’. Lei concepisce la società come una caserma.”
Montanari alza il dito didattico. “Lei ha bisogno del migrante come nemico per sentirsi italiana, ha bisogno del povero come nemico per giustificare i privilegi dei ricchi. E ora, con l’amministrazione Trump alle porte, ha bisogno della guerra.“
“Il suo Ministro Crosetto parla di 10.000 riservisti. Volete trasformare i nostri figli in carne da cannone per gli interessi dell’imperialismo americano. Lei odia la Costituzione, Presidente! La odia perché la Costituzione è un inno alla pace e all’uguaglianza, due concetti che nel suo vocabolario non esistono. Lei è tecnicamente e culturalmente incompatibile con la democrazia costituzionale.“
L’attacco è totale. Fascismo, guerra, servilismo USA, odio per i poveri.
La regia stacca su Giorgia Meloni. La premier non ha battuto ciglio. Ha ascoltato tutto con una pazienza olimpica. Quando il professore tace, convinto di averla annichilita, il conduttore si volta verso la Meloni.
“Presidente, accuse gravissime. Lei odia la Costituzione, vuole la guerra…”
Giorgia Meloni prende un respiro profondo. Si sporge leggermente in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo. Il suo sguardo aggancia quello di Montanari e non lo molla più.
“Professore,” inizia con una voce bassa, quasi dolce, ma carica di veleno, “ha finito la sua lezione? Possiamo chiudere i libri e tornare alla realtà? Perché vede, ascoltandola, mi è venuto un dubbio atroce: lei vive in Italia, o vive in una biblioteca polverosa del 1974?“
Montanari prova a interrompere: “Non banalizzi, la cultura non è…”
“No, no, stia zitto, Montanari!” scatta la Meloni, alzando improvvisamente il volume. La voce che diventa un ringhio controllato. “Lei ha parlato per cinque minuti insultandomi, insultando il governo e, mi permetta, insultando i milioni di italiani che mi hanno votato. Ora lei ha la compiacenza di ascoltare, perché la ricreazione è finita.“
“Lei ha detto che io voglio la guerra. Ha citato il mio libro, ‘Io sono un soldato’. Vede, la differenza tra me e lei è tutta qui: per lei, che ha passato la vita tra i velluti delle accademie, essere un soldato significa volere la morte. Per me, e per la gente normale, essere un soldato significa sacrificarsi, significa disciplina, significa avere una causa più grande del proprio ego smisurato. Io combatto per l’Italia ogni giorno. Lei per chi combatte, Montanari? Per il suo narcisismo?”
“Lei parla di Costituzione. Si sciacqui la bocca. La Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo, e il popolo ha scelto me. Non ha scelto lei, non ha scelto i suoi amici che pontificano dai balconi mentre la gente non arriva a fine mese. Lei dice che io odio i poveri. Ma come si permette? Io vengo dalla Garbatella! Non dai circoli esclusivi di Firenze! Io so cosa vuol dire fare la spesa al discount! Lei lo sa, o se lo fa raccontare dalla domestica?”
È un colpo basso, personalissimo, mirato a demolire la statura morale dell’intellettuale. Montanari boccheggia, colpito nel vivo della sua presunta superiorità etica.
“Siete voi che parlate di guerra! Siete voi che terrorizzate le mamme parlando di leva obbligatoria che non esiste! Siete voi i violenti! La vostra violenza verbale, la vostra arroganza nel definire fascista chiunque non la pensi come voi, è la vera minaccia alla democrazia. Se ne faccia una ragione, professore: la democrazia funziona così. Chi vince governa. Chi perde fa le prediche in televisione. E lei è bravissimo a fare le prediche, peccato che non le ascolti più nessuno, tranne quelli che, come lei, odiano l’Italia per come è e vorrebbero che fosse un gigantesco Centro sociale occupato.”
L’applauso del pubblico copre i tentativi di replica di un Montanari visibilmente scosso. Ha trasformato l’accusa di autoritarismo in una prova di snobismo dell’avversario.

L’applauso si spegne. Montanari si è ricomposto, ma il respiro è affannoso. Deve riportare lo scontro lì dove l’aria è rarefatta: sui principi.
“Lei è molto abile, Presidente, a buttare la palla in tribuna, a parlare di spesa al discount per non rispondere nel merito. Ma la storia non si fa al mercato rionale. La storia ci giudica per come trattiamo gli ultimi. E lei, Presidente, gli ultimi li sta deportando! L’accordo con l’Albania è una deportazione! Lei prende esseri umani, colpevoli solo di cercare salvezza, e li sposta fuori dai confini giuridici dell’Europa, rinchiudendoli in strutture detentive che sono, a tutti gli effetti, dei lager moderni!”
La parola lager cade nello studio come una pietra tombale. Montanari ha lanciato l’anatema supremo, il paragone implicito ma chiarissimo con il nazismo. Si aspetta che la Meloni esploda.
Ma Giorgia Meloni non esplode. Al contrario, si versa un altro bicchiere d’acqua. Beve un sorso. Posa il bicchiere con una delicatezza esasperante. Quando alza gli occhi, non c’è rabbia, c’è un gelo artico.
“Professore,” dice la Meloni, con una voce così bassa che costringe lo studio al silenzio assoluto per ascoltarla. “Lei ha appena usato la parola lager. Lei, che si riempie la bocca di storia, lei ha appena banalizzato l’Olocausto in prima serata per attaccare un avversario politico. Si vergogni, Montanari! Si vergogni profondamente! Paragonare centri di accoglienza gestiti dalla Croce Rossa ai campi di sterminio, dove sono morte milioni di persone, è un insulto alla memoria che lei dice di voler difendere. È la dimostrazione che la vostra ideologia vi ha mangiato il cervello. Lei non sta difendendo i migranti, lei sta usando i morti della Shoah come clava politica. Ed è una cosa disgustosa.“
Meloni si siede di nuovo. “Lei parla di fesserie. Io devo gestire la realtà! La realtà, professore, è che prima che arrivassi io, il Mediterraneo era un cimitero gestito dagli scafisti! Eravate voi con la vostra accoglienza indiscriminata i migliori soci in affari dei trafficanti di esseri umani. Io ho detto le regole si rispettano e gli sbarchi sono crollati. L’Albania è un Paese candidato a entrare nell’Unione Europea, non è il Terzo Reich. Trattare l’Albania come se fosse una terra di barbarie è il vero razzismo, professore.“
“Lei dice che io seleziono in base alla pelle. Altra menzogna. Io seleziono in base alla legge! Chi ha diritto entra, chi non ha diritto torna a casa. Si chiama Stato di diritto. Voi vivete nell’anarchia, nell’idea che i confini non servano. Ma vada a dirlo agli operai delle periferie, vada a dirlo a chi vive nel degrado che avete creato con anni di lassismo. La prendono a calci, professore, e avrebbero ragione!“
Montanari prova a riprendere: “Lei sta trascinando l’Italia in un’economia di guerra, aumenta le spese militari mentre taglia la sanità! Lei vuole la guerra perché la guerra è l’unico modo per tenere in piedi un sistema capitalista al collasso! Il vero patriota ripudia la guerra, come dice l’articolo 11!“
La Meloni sorride. È il sorriso di chi ha appena visto l’avversario cadere nella trappola più ovvia: “La pace,” sospira la premier. “Cos’è la pace per lei? È la resa? È lasciare che Putin invada l’Ucraina? Se è questa la sua pace, allora abbia il coraggio di chiamarla col suo nome: vigliaccheria.“
“Il dialogo si fa tra pari, Montanari! Se uno è armato e l’altro è disarmato non c’è dialogo, c’è un’invasione! La realtà è che la libertà va difesa. Si vis pacem, para bellum. Io spendo in armamenti non perché voglio attaccare, ma perché voglio che nessuno si azzardi ad attaccare l’Italia! Questa è responsabilità! La vostra pace, fatta di disarmo unilaterale, è un invito all’aggressione! Siete voi i migliori alleati dei dittatori! Lo siete sempre stati!“
Montanari è livido: “Lei parla come un leader del secolo scorso. Questo muscolarismo è ridicolo, patetico! Il mondo sta morendo di crisi climatica e lei compra i carri armati! È una visione suicida!”

“Ah, il clima!” esclama la Meloni, sarcastica. “Siamo passati dai lager ai carri armati e ora ai pannelli solari! Vede, è tutto collegato nella vostra testa! Ma la verità è che voi odiate l’Occidente, odiate il nostro modello di vita, odiate il fatto che siamo liberi! Voi difendete le utopie fallite del 1917. Chi è il vecchio tra noi due?“
Montanari, scosso, mormora: “La storia giudicherà chi ha alimentato l’odio e chi ha cercato di fermarlo. Lei oggi vince con la forza, ma sta costruendo un Paese incattivito, un Paese che guarda con sospetto il vicino, che si chiude. Lei sta rendendo l’Italia un posto brutto!“
Giorgia Meloni lo guarda. Non ride più.
“L’Italia è il Paese più bello del mondo, professore! E sa perché? Perché è pieno di italiani, di gente vera, che lei disprezza perché non ha letto i suoi libri e non vota il suo partito. Lei dice che io rendo l’Italia brutta. No. Io rendo l’Italia forte. E capisco che per chi è abituato a vivere in ginocchio, vedere qualcuno che sta in piedi possa sembrare un atto di arroganza. Ma si abitui, Montanari, perché noi non ci metteremo più in ginocchio, né davanti ai trafficanti, né davanti ai dittatori, né davanti ai professori che ci fanno la morale dall’alto dei loro privilegi.”
La sigla parte a tutto volume. Montanari distoglie lo sguardo. La Meloni rimane immobile, fissando la telecamera, con un’espressione di sfida assoluta. Ha vinto il secondo round, non con la logica accademica, ma con la brutalità del senso comune.
La sua calma ha piegato il tempo. E Montanari ha lasciato sul campo le macerie di un’intellettualità che stasera è sembrata improvvisamente vecchia di un secolo. 💥
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