Il suo intervento è arrivato come un colpo improvviso, capace di incrinare certezze che sembravano intoccabili nel panorama politico ed economico italiano.
Suor Anna Alfieri, con un linguaggio diretto e privo di qualsiasi cautela diplomatica, ha pronunciato parole che hanno acceso il dibattito pubblico e costretto molti a rivedere posizioni considerate ormai consolidate.
Non un discorso di circostanza, non un richiamo generico ai valori morali, ma una denuncia frontale, aspra, rivolta contro Maurizio Landini, contro i sindacati e contro un intero sistema che, secondo la religiosa, ha smarrito la propria funzione originaria.
Al centro della sua analisi c’è una convinzione netta: l’Italia sta vivendo una forma di saccheggio fiscale permanente, che colpisce soprattutto chi lavora e chi ha lavorato per una vita intera.
Secondo Suor Anna, lo Stato continua a presentarsi come protettore dei più deboli, ma nella pratica agisce come un esattore inflessibile, capace solo di prelevare risorse senza restituire benefici reali.

L’aumento dell’IRPEF e di altre imposte, ha sottolineato, non ha prodotto alcun miglioramento tangibile nella qualità della vita delle famiglie italiane.
Al contrario, ha eroso il potere d’acquisto, aggravato l’insicurezza economica e reso sempre più difficile arrivare alla fine del mese.
Nel suo intervento emerge un’indignazione profonda verso una politica che, a suo dire, si autocelebra per misure come il taglio del cuneo contributivo, presentandole come grandi conquiste sociali.
Per la religiosa, si tratta invece di un’illusione contabile, di un’operazione cosmetica che restituisce ai cittadini solo una minima parte di ciò che è stato loro sottratto in precedenza.
Ha paragonato questa logica a chi regala un paio di scarpe vecchie spacciandole per nuove, un’immagine forte che ha colpito l’opinione pubblica per la sua semplicità brutale.
Dietro la retorica degli aiuti, ha spiegato, si nasconde l’assenza di soluzioni strutturali e la continua presa in giro di un popolo stanco di promesse non mantenute.
Ma la critica di Suor Anna non si è fermata alla politica fiscale.
Il suo discorso ha allargato lo sguardo alle disuguaglianze crescenti che attraversano il paese, mettendo in evidenza un divario sempre più profondo tra grandi gruppi industriali e cittadini comuni.
Mentre multinazionali e colossi economici continuano ad accumulare profitti, ha denunciato, lavoratori e pensionati sono costretti a fare i conti con stipendi insufficienti e pensioni erose dall’inflazione.
In questo scenario, la narrazione ufficiale del governo e delle istituzioni viene descritta come una cortina fumogena, utile solo a distogliere l’attenzione dai problemi reali.
Promesse ripetute anno dopo anno, riforme annunciate e mai completate, interventi presentati come svolte epocali che nella vita quotidiana non producono alcun cambiamento concreto.
Uno dei passaggi più duri del suo intervento ha riguardato proprio il ruolo dei sindacati.
Secondo Suor Anna Alfieri, le organizzazioni sindacali hanno perso la loro anima e la loro missione storica.
Non sarebbero più la voce autentica dei lavoratori, ma strutture di potere autoreferenziali, sempre più vicine alla politica e sempre più lontane dalla realtà delle fabbriche, degli uffici e delle periferie.

In questa lettura, anche la figura di Maurizio Landini diventa simbolo di un sindacato che parla molto, ma incide poco, che proclama battaglie ma accetta compromessi continui.
La vera lotta sindacale, ha affermato, è scomparsa, sostituita da una rappresentazione fatta di slogan, rituali mediatici e tavoli di trattativa che non cambiano davvero le condizioni di chi lavora.
Questo tradimento silenzioso, secondo la religiosa, alimenta una rabbia sociale pericolosa, che rischia di esplodere in forme incontrollate di conflitto.
Suor Anna ha messo in guardia contro la tentazione della violenza, ricordando che la democrazia non si difende distruggendo, ma dialogando.
Ha osservato come molte manifestazioni giovanili, che dovrebbero essere occasioni di crescita e confronto, vengano spesso strumentalizzate da forze politiche interessate a canalizzare il malcontento per dividere invece di unire.
Ai giovani ha rivolto un appello chiaro e severo, invitandoli a non lasciarsi trascinare dall’odio e dalla superficialità.
Ha esortato a capire davvero ciò che viene proposto, a usare la testa prima delle mani, ricordando che la violenza non ha mai risolto i problemi, ma li ha sempre aggravati.
Il suo messaggio non è stato indulgente nemmeno verso la classe politica nel suo complesso.
Suor Anna ha chiesto rispetto per il mandato popolare, denunciando una deriva fatta di accuse reciproche, polemiche sterili e scontri ideologici che svuotano il senso stesso della democrazia.
Il voto dei cittadini, ha ricordato, non è un dettaglio formale, ma il fondamento della legittimità di chi governa.
Chi è al potere deve essere giudicato per ciò che fa concretamente, non per etichette ideologiche o pregiudizi costruiti a tavolino.
Solo un confronto onesto e costruttivo, basato sui principi della solidarietà e dell’equità, può restituire fiducia nelle istituzioni e ricucire lo strappo tra politica e società.
La religiosa ha ammonito contro ogni forma di estremismo, sottolineando che chi invoca giustizia non può farlo calpestando la libertà altrui.
Il cambiamento vero, ha ribadito, non nasce dalla rabbia cieca, ma dalla partecipazione consapevole e dal coraggio di affrontare la verità, anche quando è scomoda e impopolare.
Il suo intervento, duro ma lucido, ha provocato reazioni contrastanti nel mondo politico e sindacale.
C’è chi lo ha definito un atto di coraggio, capace di dare voce a un disagio diffuso e spesso ignorato.
Altri lo hanno liquidato come un discorso ideologico, accusando Suor Anna di semplificare una realtà complessa e di alimentare sfiducia nelle istituzioni.
Ma al di là delle polemiche, le sue parole hanno avuto un effetto innegabile: hanno costretto tutti a interrogarsi sulla condizione reale di chi vive di lavoro e di pensione in Italia.
Nel suo messaggio finale, Suor Anna Alfieri ha tracciato uno scenario inquietante ma realistico.
Senza un ritorno ai valori autentici della giustizia sociale e del rispetto reciproco, l’Italia rischia di diventare un paese sempre più diviso.
Un paese in cui chi ha di più continua a guadagnare, mentre chi ha meno paga per tutti.
Le sue parole restano come un richiamo potente alla responsabilità collettiva, alla necessità di riscoprire il senso della verità e della solidarietà.
Solo così, ha concluso, sarà possibile costruire una società davvero giusta, capace di guardare al futuro senza lasciare indietro nessuno.
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