L’aria nello studio televisivo è talmente satura di tensione che sembra quasi di poterla tagliare con un coltello, una densità elettrica che sovrasta persino il calore accecante dei riflettori puntati sul grande tavolo ovale dove non si sta consumando un semplice dibattito, ma lo scontro frontale tra due visioni del mondo inconciliabili.
Da una parte Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, è un fiume in piena di indignazione cinetica, gesticola, scuote un fascicolo di carte come fosse un’arma contundente, si sporge verso il centro del tavolo con la foga di chi sente di difendere l’ultimo bastione di civiltà contro l’avanzata dei barbari.
Dall’altra parte, immobile come una roccia in mezzo alla tempesta, siede Suor Anna Monia Alfieri, le mani incrociate sul panno di velluto scuro, il velo che incornicia un volto che non tradisce emozione se non una concentrazione assoluta, quasi chirurgica.
Schlein non perde tempo in preamboli, la sua voce si alza e vibra della retorica appassionata che mescola diritti civili e allarme democratico, punta il dito contro il governo accusando Giorgia Meloni di aver firmato quello che definisce “l’editto della vergogna”, la nuova circolare che stoppa i progetti sull’identità di genere nelle scuole primarie.

Per Schlein non è un atto amministrativo, è una dichiarazione di guerra contro la modernità, un tentativo maldestro e crudele di cancellare l’esistenza di chi non si conforma, di chi è diverso, e l’Italia scivola verso un modello autoritario, una piccola Ungheria mediterranea dove il dissenso si punisce e l’educazione diventa indottrinamento di Stato.
Accusa la destra di voler entrare nelle camere da letto e nelle coscienze dei cittadini, di imporre un modello di famiglia irreale, fatto di stereotipi polverosi che umiliano le donne e isolano i giovani LGBTQIA+, mentre il conduttore prova a inserirsi e il pubblico di parte applaude, alimentando il crescendo emotivo.
È a quel punto, quando l’accusa raggiunge il suo apice, che Suor Anna interviene senza alzare la voce, aspettando la pausa infinitesimale in cui Schlein prende fiato, e si inserisce con la precisione di un metronomo.
Onorevole Schlein, esordisce con tono pacato che contrasta con le urla appena ascoltate, lei ha usato parole forti: “oscurantismo”, “medioevo”, “discriminazione”, ma temo che nella foga del comizio abbia dimenticato la parola più importante di tutte, la libertà, e non quella astratta degli slogan, ma la libertà concreta sancita dalla Costituzione.
Suor Anna si sistema sulla sedia e inizia a smontare l’architettura accusatoria con logica stringente, quasi giuridica: ciò che dovrebbe preoccuparci è la confusione tra tutela della persona e definizione della persona, perché fra le due c’è un abisso.
Spiega che il vero pericolo non è la circolare del governo, ma la pretesa di usare la legge per imporre una visione antropologica, e che, pur condividendo l’obiettivo di combattere la discriminazione, le normative proposte dalla sinistra rischiano di mettere in contrapposizione due libertà fondamentali: la dignità di ogni individuo e la libertà di espressione garantita dall’articolo 21.
Una norma, incalza, non può mettere allo scontro due diritti costituzionali, perché se lo fa crea un mostro giuridico, e qui Suor Anna solleva la questione della “definizione per legge” dell’identità: la legge non deve dire chi siamo, deve garantire che nessuno ci faccia del male per chi siamo.
Se la legge inizia a costruire categorie protette basate sulla percezione soggettiva, si apre lo spazio alla discriminazione al contrario e al vuoto legislativo che inevitabilmente verrà colmato dalla magistratura, trasformando il giudice in censore del pensiero.
Volete che un giudice decida se un’opinione sulla famiglia naturale diventi reato, conclude, e questo è il vero autoritarismo, il tentativo di imporre un pensiero unico attraverso la minaccia penale.
Schlein scuote la testa, visibilmente irritata, ma Suor Anna sposta il focus sulla scuola, il vero campo di battaglia: l’articolo 30 della Costituzione è chiaro, è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli.
Educare non spetta allo Stato, non al funzionario del ministero e, mi perdoni, nemmeno al Partito Democratico, prosegue, perché ciò che chiamate “educazione all’affettività” troppo spesso diventa colonizzazione ideologica, un modo per scavalcare le famiglie e imporre una visione della sessualità e dell’identità non condivisa e priva di basi scientifiche univoche.
Il governo non vieta nulla, chiarisce, dice una cosa rivoluzionaria nella sua semplicità: la scuola deve istruire, formare cittadini critici; l’educazione valoriale spetta a mamma e papà.
Se trasformate la scuola in un centro di rieducazione di massa dove si insegna che l’identità è fluida e la famiglia naturale un retaggio da abbattere, violerete la libertà educativa dei genitori e direte che lo Stato possiede i figli, tratto distintivo dei regimi totalitari, non delle democrazie liberali.
La religiosa chiude il primo affondo difendendo il pluralismo, accusando Schlein di inclusione che esclude chi dissente, mentre le scuole fisicamente cadono a pezzi, gli insegnanti sono sottopagati e la dispersione scolastica è alle stelle.
Forse, onorevole, dovreste preoccuparvi più di far funzionare la scuola come ascensore sociale e meno come laboratorio di ingegneria sociale, perché la libertà non è un hashtag, è rispetto dei limiti che la Costituzione pone al potere dello Stato sulle vite dei cittadini.
Il silenzio che cala in studio è pesante, rotto solo dal respiro affannoso di Schlein che cerca di riordinare le carte, ma il conduttore lancia una grafica impietosa alle spalle: dati sulla dispersione nelle periferie e calo demografico.
Schlein si rianima, abbandona per un attimo il tema gender e attacca il cuore della politica scolastica della destra, accusando Giorgia Meloni di voler affamare la scuola pubblica per dirottare fondi verso le private, le scuole dei ricchi, le scuole — e qui un’occhiata verso Suor Anna — gestite dalla Chiesa.
Siamo di fronte a un disegno preciso, tuona, smantellare l’unico ascensore sociale rimasto per favorire diplomifici e istituti confessionali, tagliare il tempo pieno al Sud, lasciare crollare i soffitti nelle aule di Tor Bella Monaca, mentre si trovano miracolosamente risorse per voucher educativi che finiscono nelle tasche di chi può già permettersi rette da migliaia di euro.
È un furto di futuro ai danni dei poveri, attacca Schlein, collegando la presunta strategia economica a una visione culturale reazionaria, e accusando persino la premier di tradimento del femminismo, di farsi chiamare al maschile perché succube del patriarcato.
Il pubblico rumoreggia, diviso tra applausi e fischi, mentre Suor Anna resta in silenzio ancora un istante, poi si toglie gli occhiali, li pulisce, e fissa Schlein con sguardo di compassione intellettuale e fermezza d’acciaio.

Onorevole Schlein, riprende con una sfumatura più dura, lei mistifica la realtà costruendo un mondo alla rovescia, ma i fatti hanno la testa dura, e dicono che il vero classismo è nel sistema che difende con tanta foga.
La religiosa entra nel cuore della libertà di scelta educativa: i ricchi non hanno bisogno di voucher, la libertà se la comprano; pagano due volte, tasse per la scuola statale che non usano e rette per la privata.
Il problema è per la signora Maria della periferia, per l’operaio, per l’immigrato: se la scuola statale sotto casa è un disastro, non hanno scelta, sono prigionieri del codice di avviamento postale.
Il monopolio statale dell’educazione è il sistema più classista, condanna i poveri a restare poveri, e gli strumenti di libertà educativa introdotti dal governo sono la più grande operazione di giustizia sociale degli ultimi trent’anni, perché restituiscono ai genitori, non allo Stato, il potere di decidere.
Suor Anna smonta poi la retorica sul patriarcato e il femminismo, definendo “performativo” quello di Schlein, fatto di desinenze e simboli, mentre il femminismo di Meloni sarebbe “della realtà”, di una madre che lavora e guida una nazione, esempio tangibile che spezza il soffitto di cristallo senza quote.
La verità, incalza, è che non perdonate a Meloni di essere una donna libera dai vostri schemi, perché volete donne al potere solo se dicono ciò che volete voi; se una donna è di destra, cristiana e difende la famiglia, per voi non è una vera donna, e questa è una forma di patriarcato interiorizzato.
Tornando alla scuola come luogo di libertà, Suor Anna ricorda che la paritaria è pubblica, parte del sistema nazionale di istruzione, e garanzia di pluralismo: senza alternative, la scuola sarebbe regime.
Attaccare le scuole cattoliche o paritarie dicendo che rubano soldi alla pubblica significa voler un’unica scuola di Stato con un unico pensiero, e il pensiero unico è l’anticamera della dittatura.
Il governo Meloni, conclude, applica la sussidiarietà, principio costituzionale che riconosce la ricchezza della società civile e chiede allo Stato di aiutare chi fa educazione, non ostacolarlo.
Il conduttore, fiutando il climax, apre la finestra internazionale: gigantografia del Parlamento europeo e titoloni di giornali che criticano l’Italia sulle politiche familiari.
Schlein si aggrappa a quelle immagini, urlando che “l’Europa intera ci guarda con orrore”, che l’Italia diventa la pecora nera dei diritti, mentre Francia blinda l’aborto in Costituzione e Spagna e Germania avanzano sulle leggi per l’autodeterminazione di genere.
Accusa il governo di isolare il Paese con ossessioni per la famiglia tradizionale, di creare un clima d’odio, spingendosi fino a imputare una responsabilità morale: “ogni volta che dite che l’identità di genere è ideologia, c’è un ragazzo picchiato per strada”.
L’accusa è gravissima, il pubblico trattiene il fiato, mentre Schlein dipinge un futuro distopico di Stato etico dove pensare diversamente diventa impossibile e le minoranze si nascondono.
Suor Anna ascolta senza rabbia, con severità pedagogica, e quando prende la parola la sua voce è bassa ma ferma: ha appena pronunciato la parola chiave, “Stato etico”, e ha ragione a temerlo, ma il paradosso è che lo Stato etico è esattamente quello che state cercando di costruire voi.
Riprende il ragionamento giuridico: volete leggi contro la discriminazione, bene, ma scritte come? Se definiscono per norma chi è la persona, basandosi sulla percezione, creano conflitto insanabile tra tutela antidiscriminatoria e libertà di espressione.
Se dico pubblicamente che un bambino ha bisogno di un padre e una madre, nella vostra logica diventa “hate speech”, e volete che un giudice condanni un’opinione basata su biologia, antropologia e fede.
Questo è lo Stato etico, uno Stato che usa il codice penale per tappare la bocca a chi non si allinea, e quando la legge è vaga il giudice diventa legislatore, riscrivendo la morale del popolo per sentenza.
In una democrazia liberale, gli errori si puniscono e chi picchia va in galera, ma le opinioni si dibattono, non esiste reato di opinione, e finché ci sarà questo governo non esisterà.
Quanto all’Europa, lei dice che ci guarda con orrore, io dico che ci guarda con inquietudine perché ha smarrito se stessa, e che la via proposta dall’Italia non è un ritorno al passato ma un ritorno alla realtà, all’umanesimo che difende l’uomo dalla mercificazione della vita.
La storia non è una linea retta verso il nulla del “tutto fluido”, è fatta di radici, e un albero senza radici cade al primo vento; tagliare famiglia, fede e identità culturale non rende più liberi, rende più deboli e manipolabili.
L’affondo finale è personale e politico: le piazze si riempiono e si svuotano, i voti restano, e gli italiani continuano a votare Giorgia Meloni perché nel segreto dell’urna hanno buon senso, capiscono che se salta la famiglia salta tutto e che se la scuola diventa laboratorio ideologico i loro figli sono in pericolo.
La “ZTL delle idee” si scandalizza, la realtà vive altrove, e la realtà vince sempre sull’ideologia, conclude Suor Anna, mentre l’applauso monta e il conduttore è costretto a chiamare la pubblicità per interrompere quello che è diventato un monologo trionfante della logica liberale e sussidiaria.
Quando le luci si abbassano, resta la sensazione di una narrazione rovesciata: l’accusa di oscurantismo si è infranta contro il muro delle garanzie costituzionali, e l’aula ha capito che la differenza tra slogan e governo passa dalla disciplina dei fatti.
Schlein ha portato la passione e la denuncia, Meloni ha portato la postura di governo, Suor Anna ha portato la grammatica delle libertà, e il pubblico ha visto, forse per la prima volta in questa stagione, che la verità politica non si conquista alzando il tono, ma reggendo il peso delle regole.
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